Gli italiani in Germania: i 70 anni dell’accordo italo-tedesco sul lavoro di Giorgia Miazzo Centro Studi Grandi Migrazioni

19 Settembre 2025 Centro Studi Grandi Migrazioni Comments Off
  • Se nel secondo dopoguerra ebbe luogo la ricostruzione della Germania Ovest, che si presentava in piena crescita economica ma a corto di manodopera, in Italia la disoccupazione e la povertà erano diffuse, soprattutto nelle aree rurali e nel Sud del Paese.

Nel novembre 1955 il ministero del Lavoro tedesco dichiarò che la manodopera locale non sarebbe bastata e che, per l’anno successivo, sarebbero stati necessari altri 800.000 lavoratori reclutati tra disoccupati, migranti rimpatriati nella Repubblica Federale, tedeschi provenienti dalla Repubblica Democratica e stranieri. Il governo tedesco decise dunque di contattare quello italiano al fine di giungere quanto prima alla firma di un trattato per lo scambio di forza lavoro, siglato ufficialmente il 20 dicembre 1955 a Roma dal Ministro del Lavoro tedesco Storch e dal Ministro degli Esteri italiano Martino e denominato Protocollo sull’assunzione di lavoratori italiani, meglio noto come accordo italo-tedesco sul lavoro, che prevedeva il reclutamento di italiani mediante uffici dedicati e contratti a tempo determinato.

I primi migranti partirono soprattutto da Veneto, Friuli-Venezia-Giulia, Calabria, Puglia e Sicilia oltre che verso grandi città industriali e distretti minerari tedeschi. Tale trattato era stato concluso in un clima politico sostanzialmente favorevole alla mobilità dei lavoratori, rappresentando l’ultimo di una serie di accordi tra l’Italia e altri Stati europei: nel 1946 con la Francia e il Belgio, nel 1947 con la Svezia e la Gran Bretagna e nel 1948 con la Svizzera, i Paesi Bassi e il Lussemburgo. L’ultimo fu il Trattato di Roma nel 1957 che sancì il principio della libera circolazione dei lavoratori all’interno dei Paesi membri della Comunità Economica Europea.

I Gastarbeiter -lavoratori ospiti- non godevano certo di condizioni di vita e di lavoro ottimali: i treni che li portavano in Germania erano mal attrezzati, le sistemazioni abitative si presentavano precarie, con pessime condizioni igieniche, la quotidianità era caratterizzata da turni lunghi e isolamento sociale, oltre che da una marcata nostalgia amplificata dal costo eccessivo delle telefonate dall’estero.

Il reclutamento degli italiani rispondeva perciò soprattutto agli interessi del sistema economico tedesco e non a quelli dei lavoratori, che videro sfumare in buona parte le tante speranze nutrite prima della partenza, sebbene i benefici non tardarono ad arrivare: per i migranti infatti questa esperienza rappresentava un mezzo di ascesa sociale e per i governi dei Paesi di partenza significava allentare le tensioni sociali provocate dalla disoccupazione.

È interessante notare che in quegli anni il principio alla base della Ausländerpolitik in Germania, ossia la politica nei confronti degli stranieri, era di non volersi considerare un Paese di immigrazione, principio che alla luce dei fatti è stato smentito dalla storia lasciando spazio a una migrazione non solo di carattere economico, ma anche culturale, portando a contaminazioni linguistiche, sociali ed etniche che oggigiorno appartengono al patrimonio di tutti.

I 70 anni dell’accordo italo-tedesco sul lavoro sono un’occasione per riflettere sul significato dell’esperienza migratoria del popolo italiano e sull’importanza di rafforzare i rapporti economico-culturali tra l’Italia e la Germania.

  • Fonti fotografiche:

    1. Prima del titolo: Gastarbeiter, ovvero lavoratori ospiti, in una miniera di carbone a Walsum, Germania, 1962. Archivio: Bundesarchiv.
    2. Dopo il titolo: Lavoratrici italiane in una fabbrica di cioccolato a Colonia, Germania, 1962. Archivio: Bundesarchiv.
    3. Galleria: Corsi di formazione per Gastarbeiter italiani da impiegare nell' industria mineraria, Duisburg, Germania, 962. Archivio: Bundesarchiv.