Ore 17.17 del 30 agosto 1965. Un grande boato riecheggia nella valle di Saas del Canton vallese svizzero, ci si chiede se si tratti di una tormenta che solleva un’enorme coltre di ghiaccio e vento. Poco dopo, un freddo gelido spezza l’aria, evocando l’allegoria della morte.
Lavorare alla costruzione della diga di Mattmark era stato, fino a quel momento, un simbolo di speranza e di nuove prospettive per molti giovani migranti italiani e non, che scelsero di abbandonare il proprio paese natale e di allontanarsi dagli affetti per dedicarsi anima e corpo alla costruzione del proprio sogno personale: crearsi un futuro.
L’appalto per la costruzione della più grande diga di terra in Svizzera fu commissionato alla multinazionale zurighese Elektro-Watt AG nel 1954, ma i lavori iniziarono nel 1960 e si protrassero fino al 1967. Una bella paga era quanto bastava per sfidare la forza della natura e le condizioni atmosferiche estreme, sconosciute a molti prima della partenza.
Gli operai avevano le qualifiche più diverse, c’era chi faceva il saldatore, chi il meccanico e le giornate erano scandite dal lavoro in cantiere, con turni di giorno e di notte, nei quali si lavorava almeno undici ore, addirittura si poteva arrivare alle quindici. Chi aveva voglia di lavorare, poteva farlo, di lavoro ce n’era; era previsto anche un premio per chi avesse contribuito a terminare i lavori nel più breve tempo possibile. La movimentazione di grandi macchine allertava gli operai a fare attenzione alla loro sicurezza, il rischio di infortuni e d’infezioni era molto alto, dato l’ambiente ostile e le condizioni avverse all’uomo.
Molti continuavano ad osservare il grande blocco di ghiaccio dell’Allalin che si protraeva verso la diga in costruzione, minacciando il cantiere in cui gli operai di giorno spendevano le loro fatiche e, le mense allestite per far loro trovare un pasto caldo, dopo aver sopportato una temperatura che arrivava fino ai – 50 °C sottozero.
La sciagura non accadde improvvisamente, molti dubitavano della solidità di quel ghiacciaio, dal quale ogni giorno si notava scorrere un rigagnolo di acqua, che preannunciava la tragedia imminente. In quaranta secondi, 500 000 mc di ghiaccio si staccarono, travolgendo le baracche che ospitavano i dipendenti del cantiere, provocando una delle più grandi tragedie che coinvolse una cospicua parte di migranti italiani. Le vittime contavano 88 persone, di cui 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide.
Le testimonianze delle voci di Mattmark riconoscevano come quel ghiacciaio potesse predire la loro morte, eludendo così ad una catastrofe già preannunciata. Si sapeva anche che poco prima del disastro un bel blocco di ghiaccio si era staccato e aveva sfiorato una delle baracche, allertando così gli operai.
Il ghiaccio trascinò con sé tutto: uomini, donne, detriti, baracche, pentole. Tutto salto in aria. I primi soccorritori cercarono di prestare aiuto ai superstiti, ma senza successo, quello che trovarono fu un cimitero di ghiaccio.
C’è chi si è salvato perché lavorò di giorno, o perché al momento del crollo si trovava dalla parte del lago. A molti sono morti parenti, persone di casa e forse la cosa più difficile fu chiedere agli operai lo sforzo di riconoscere i morti, sfigurati dal gelo e rimasi per giorni sotto la coltre del ghiaccio.
L’inchiesta in seguito alla tragedia fu accompagnata da enorme indignazione da parte del Governo italiano, poiché i diciassette responsabili accusati per negligenza, vennero assolti a pieno titolo dal tribunale svizzero. La possibilità di scioglimento del ghiaccio venne riconosciuta come imprevedibile e impossibile, motivazione che portò alla chiusura del caso da parte della corte cantonale di Sion nel settembre del 1972.
Il processo durò circa sette anni e l’assoluzione degli imputati provocò sgomento e fece affiorare un sentimento di discriminazione verso i migranti italiani coinvolti nella strage.
Nell’anno corrente, si è voluto onorare la memoria dei migranti italiani con varie commemorazioni organizzate dalle comunità locali ed italiane nelle giornate del 29 e del 30 agosto, ricordando i 60 anni dalla strage e auspicando che episodi simili non possano mai più accadere. Le principali autorità che hanno partecipato alle celebrazioni, come la Segretaria del Partito Democratico italiano, Elly Schlein e il Presidente del Governo del Canton Vallese, Mathias Reynard, hanno ricordato la grande dedizione al lavoro dei migranti e il contributo fondamentale che apportarono, come accade ancora oggi, all’economia al di là del confine della propria terra madre, evocando l’elevato impegno e la determinazione, ma anche la vulnerabilità allo sfruttamento e la necessità di politiche di inclusione efficaci per valorizzare le loro competenze e di garantire condizioni lavorative dignitose. Il Presidente italiano Sergio Mattarella ha trasmesso la sua solidarietà per la memoria dell’accaduto ricordando l’importanza della sicurezza sul lavoro e la dedizione al contributo per il valore delle economie locali.
Questa sciagura ha lasciato un profondo segno nel cuore delle famiglie degli italiani coinvolti, che hanno visto perdere i loro cari senza che giustizia fosse fatta.
Il tempo passa, ma il ricordo non sfiorisce: la musica infatti è sempre uno strumento che attraversa le nostre emozioni e canta in qualche modo la storia che è stata vissuta dai nostri compaesani, che con grande coraggio hanno sfidato la sorte e sono stati vittima di un tragico destino.
1965-2025: In ricordo della sciagura di Mattmark di Alice Bettin
1965-2025: In ricordo della sciagura di Mattmark
di Alice Bettin
Ore 17.17 del 30 agosto 1965. Un grande boato riecheggia nella valle di Saas del Canton vallese svizzero, ci si chiede se si tratti di una tormenta che solleva un’enorme coltre di ghiaccio e vento. Poco dopo, un freddo gelido spezza l’aria, evocando l’allegoria della morte.
Lavorare alla costruzione della diga di Mattmark era stato, fino a quel momento, un simbolo di speranza e di nuove prospettive per molti giovani migranti italiani e non, che scelsero di abbandonare il proprio paese natale e di allontanarsi dagli affetti per dedicarsi anima e corpo alla costruzione del proprio sogno personale: crearsi un futuro.
L’appalto per la costruzione della più grande diga di terra in Svizzera fu commissionato alla multinazionale zurighese Elektro-Watt AG nel 1954, ma i lavori iniziarono nel 1960 e si protrassero fino al 1967. Una bella paga era quanto bastava per sfidare la forza della natura e le condizioni atmosferiche estreme, sconosciute a molti prima della partenza.
Gli operai avevano le qualifiche più diverse, c’era chi faceva il saldatore, chi il meccanico e le giornate erano scandite dal lavoro in cantiere, con turni di giorno e di notte, nei quali si lavorava almeno undici ore, addirittura si poteva arrivare alle quindici. Chi aveva voglia di lavorare, poteva farlo, di lavoro ce n’era; era previsto anche un premio per chi avesse contribuito a terminare i lavori nel più breve tempo possibile. La movimentazione di grandi macchine allertava gli operai a fare attenzione alla loro sicurezza, il rischio di infortuni e d’infezioni era molto alto, dato l’ambiente ostile e le condizioni avverse all’uomo.
Molti continuavano ad osservare il grande blocco di ghiaccio dell’Allalin che si protraeva verso la diga in costruzione, minacciando il cantiere in cui gli operai di giorno spendevano le loro fatiche e, le mense allestite per far loro trovare un pasto caldo, dopo aver sopportato una temperatura che arrivava fino ai – 50 °C sottozero.
La sciagura non accadde improvvisamente, molti dubitavano della solidità di quel ghiacciaio, dal quale ogni giorno si notava scorrere un rigagnolo di acqua, che preannunciava la tragedia imminente. In quaranta secondi, 500 000 mc di ghiaccio si staccarono, travolgendo le baracche che ospitavano i dipendenti del cantiere, provocando una delle più grandi tragedie che coinvolse una cospicua parte di migranti italiani. Le vittime contavano 88 persone, di cui 56 italiani, 23 svizzeri, 4 spagnoli, 2 tedeschi, 2 austriaci e un apolide.
Le testimonianze delle voci di Mattmark riconoscevano come quel ghiacciaio potesse predire la loro morte, eludendo così ad una catastrofe già preannunciata. Si sapeva anche che poco prima del disastro un bel blocco di ghiaccio si era staccato e aveva sfiorato una delle baracche, allertando così gli operai.
Il ghiaccio trascinò con sé tutto: uomini, donne, detriti, baracche, pentole. Tutto salto in aria. I primi soccorritori cercarono di prestare aiuto ai superstiti, ma senza successo, quello che trovarono fu un cimitero di ghiaccio.
C’è chi si è salvato perché lavorò di giorno, o perché al momento del crollo si trovava dalla parte del lago. A molti sono morti parenti, persone di casa e forse la cosa più difficile fu chiedere agli operai lo sforzo di riconoscere i morti, sfigurati dal gelo e rimasi per giorni sotto la coltre del ghiaccio.
L’inchiesta in seguito alla tragedia fu accompagnata da enorme indignazione da parte del Governo italiano, poiché i diciassette responsabili accusati per negligenza, vennero assolti a pieno titolo dal tribunale svizzero. La possibilità di scioglimento del ghiaccio venne riconosciuta come imprevedibile e impossibile, motivazione che portò alla chiusura del caso da parte della corte cantonale di Sion nel settembre del 1972.
Il processo durò circa sette anni e l’assoluzione degli imputati provocò sgomento e fece affiorare un sentimento di discriminazione verso i migranti italiani coinvolti nella strage.
Nell’anno corrente, si è voluto onorare la memoria dei migranti italiani con varie commemorazioni organizzate dalle comunità locali ed italiane nelle giornate del 29 e del 30 agosto, ricordando i 60 anni dalla strage e auspicando che episodi simili non possano mai più accadere. Le principali autorità che hanno partecipato alle celebrazioni, come la Segretaria del Partito Democratico italiano, Elly Schlein e il Presidente del Governo del Canton Vallese, Mathias Reynard, hanno ricordato la grande dedizione al lavoro dei migranti e il contributo fondamentale che apportarono, come accade ancora oggi, all’economia al di là del confine della propria terra madre, evocando l’elevato impegno e la determinazione, ma anche la vulnerabilità allo sfruttamento e la necessità di politiche di inclusione efficaci per valorizzare le loro competenze e di garantire condizioni lavorative dignitose. Il Presidente italiano Sergio Mattarella ha trasmesso la sua solidarietà per la memoria dell’accaduto ricordando l’importanza della sicurezza sul lavoro e la dedizione al contributo per il valore delle economie locali.
Questa sciagura ha lasciato un profondo segno nel cuore delle famiglie degli italiani coinvolti, che hanno visto perdere i loro cari senza che giustizia fosse fatta.
Il tempo passa, ma il ricordo non sfiorisce: la musica infatti è sempre uno strumento che attraversa le nostre emozioni e canta in qualche modo la storia che è stata vissuta dai nostri compaesani, che con grande coraggio hanno sfidato la sorte e sono stati vittima di un tragico destino.
Per un approfondimento musicale:
https://www.centrostudigrandimigrazioni.org/2025/09/08/la-tragedia-del-mattmark/
Fonti fotografiche:
Prima del titolo: Lavoro notturno dopo la caduta del ghiacciaio di Allalin, Mattmark, Settembre 1965. Archivio: Bibliothek Zürich, Bildarchiv.
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