Lo scorso ottobre 2024, in occasione dell’anno del Turismo delle Radici nonché dell’anniversario dei 150 anni dal primo sbarco di migranti italiani in Brasile, una delegazione del Centro Studi Grandi Migrazioni è partita per un viaggio nell’affascinante Brasile. Tra natura e bellezza, ma anche tra persone, discendenti di italiani che vivono con il cuore rivolto verso il nostro Paese, un itinerario speciale ha guidato la delegazione a partire da Rio de Janeiro e poi attraverso lo Stato di Espirito Santo, dove un’immersione nella cultura e nella storia dei luoghi ha permesso ai partecipanti di conoscere gli italo-veneti che vivono in queste comunità e di assistere alla più grande festa della polenta al mondo! Un viaggio, quindi, anche tra vestiti tipici, musiche, canti, feste, tradizioni, gastronomia, lingua e folclore, che li ha riportati indietro nel tempo. Di seguito le testimonianze scritte di proprio pugno da tre partecipanti.
Il mio viaggio in Brasile
di Monica Simionato
Dico mio, perché è stato il mio primo viaggio oltre oceano, perché ho sentito il Brasile come il mio Paese, dico mio perché è stata la mia esperienza di vita.
Ho scoperto due Brasili diversi:
Rio de Janeiro, una città dalla vita mondana, spiaggia, cocktail, vacanze, dove ho visto posti incantevoli come il Cristo Redentore, il Pan di Zucchero, il centro storico di Rio, la Foresta di Tijuca e il giardino botanico, un po’ meno piacevole è stata la visita alla favela Rocinha, perché mi son posta molte domande in quel momento, ad esempio non si riesce a fare nulla per migliorare? È una cosa di convenienza? Non ho trovato risposte solamente tanta tristezza e amarezza.
Proseguendo il mio viaggio ho trovato la mia Italia a Venda Nova do Imigrante, l’Italia che non ho vissuto… perché non ancora nata ma raccontata dai miei nonni…
Solo a ricordare quei giorni mi viene la pelle d’oca, figuriamoci a viverli, quell’accoglienza, quell’affetto che vivo solo con i miei genitori e chi mi vuole bene.
Sono stati giorni in “famiglia”, visitando l’archivio pubblico sull’emigrazione a Vitoria, incontrando l’amministrazione comunale di Venda Nova do Imigrante, abbiamo visitato scuole per parlare con Giorgia dei 150 anni dalle prime migrazioni, visitato caseifici, cantine, associazioni di volontariato e poi la Festa da Polenta tra cibo e divertimento.
Che dire, rimarrà tutto custodito nel mio cuore, un’esperienza da condividere, ma anche da fare invidia.
La mia esperienza in Brasile
di Tiziana Polo
Tutto è iniziato un anno fa nel mese di settembre. Durante la “Festa dea Poenta” a Castelminio di Resana (TV), Giorgia Miazzo e Gianluca Parise hanno presentato il loro libro “Oro Giallo. Alla scoperta delle Vie del Mais nel Mondo” e da lì ha iniziato a prendere forma un progetto che con il passare del tempo è diventato sempre più ambizioso e si è concluso in questi giorni, proprio con un viaggio in Brasile.
Ho condiviso quest’esperienza con altre quattro persone e l’itinerario, pensato ed organizzato dalla stessa Giorgia, era diviso in due tappe principali.
La prima tappa ci ha portati a conoscere la famosa Rio de Janeiro. In tre giorni abbiamo visto la città in tutte le sue sfaccettature: il centro storico, il porto, gli edifici secolari che ospitano istituzioni governative e banche, le stradine tortuose, il teatro municipale, la Biblioteca Nazionale, il Museo delle Belle Arti, il lungomare di Copacabana, il Cristo Rendentor – la famosa statua situata in cima al Monte Corcovado -, il Pan di Zucchero, il quartiere storico di Santa Teresa, la coloratissima Scalinata Selaron, la foresta tropicale Tijuca, il giardino botanico, la Cattedrale Metropolitana e la favela Rocinha. Questi sono solo alcuni dei fantastici posti che abbiamo avuto il piacere di visitare e che sicuramente rimarranno tutti impressi nella mia memoria.
In ogni angolo della città si poteva scorgere il belvedere della baia con l’oceano e le spiagge. Il popolo brasiliano, sempre sorridente e accogliente, con la sua musica, i suoi colori e i suoi sapori, dimostra di saper dare valore alla vita ed importanza alle piccole cose.
La seconda parte del viaggio ci ha portati per circa cinque giorni a Venda Nova do Imigrante, dove si festeggiavano i 150 anni della migrazione italiana in Brasile. Questa cittadina è situata nello stato dello Espírito Santo ed è stata oggetto di una forte ondata migratoria di persone provenienti dal Veneto. Nel mese di settembre, durante la nostra “Festa dea Poenta”, in collaborazione con il Centro Studi Grandi Migrazioni, abbiamo avuto in visita una delegazione brasiliana proveniente proprio da Venda Nova do Imigrante, con la quale abbiamo siglato “un patto di amicizia” ed abbiamo pertanto colto l’occasione per rafforzare questo gemellaggio con la nostra visita. Abbiamo avuto, fin da subito, un’accoglienza strepitosa e abbiamo incontrato le autorità locali, il sindaco, la giunta e tutta la delegazione brasiliana, consolidando, appunto, questo rapporto.
Nei primi due giorni, Giorgia ci ha fatto conoscere varie realtà dello stato dello Espírito Santo: abbiamo partecipato come uditori ad alcuni convegni presso le scuole, ad incontri con autorità, abbiamo visitato l’archivio storico, cenato con un gruppo di alunni che stavano imparando l’italiano e visitato alcune aziende del luogo.
Sono rimasta stupita dal senso di appartenenza del popolo di Venda Nova do Imigrante: è bello vedere che, anche lontani dalla madrepatria, non hanno dimenticato le loro radici, ma hanno trovato un modo di tenere salde e vive le tradizioni, coltivando la lingua madre e continuando a tramandarla anche ai bambini, conservando canti, balli, costumi e feste che riuniscono tantissime persone attratte, ad esempio, dal “tombo da polenta” gigante che versa 1.200 kg di prodotto.
Questo viaggio mi ha fatto capire che Venda Nova non è semplicemente un paese di venticinque mila abitanti, ma è una famiglia. Non ci sono distinzioni: vecchi e bambini si radunano, parlano, cantano, ballano, mangiano, bevono e condividono tempo e tradizioni. E sono proprio le tradizioni il fil rouge che tiene ancorate queste persone alle loro radici e che le fa sentire di essere più vicine all’Italia, la terra dei loro antenati, e quella che considerano la loro casa.
Un viaggio emozionante
di Loris Pegorin
Partiamo per Rio de Janeiro con volo da Venezia: io, la mia cara amica Giorgia e tre a me sconosciuti. È il mio primo viaggio fuori dall’ Europa, sono sereno, ma carico e desideroso di scoprire nuovi mondi.
Atterriamo a Lisbona in tarda serata dopo un paio d’ore di volo regolare, in questo grande aeroporto di Portela, uno dei maggiori traffici aerei d’ Europa, facciamo pausa caffè, dialogando fra di noi per conoscerci un po’. Ci incamminiamo verso il gate e in pochi minuti siamo seduti e pronti per il decollo: destinazione Rio. Qui appuro che l’aereo cambia rispetto il volo e i voli precedenti che avevo fatto, un maggior comfort e uno schermo tutto mio con cuffiette per radio e film, l’hostess mi consegna pure cuscino e coperta per affrontare meglio le dieci ore di volo che ci aspettano. Nonostante cerchi di addormentarmi in più momenti del viaggio, vengo distratto dal monitor che in tempo reale mi mostra i parametri di volo tra distanza, velocità, altitudine e la rigida temperatura esterna di -60° a quasi 12.200 metri di altezza – nel frattempo la distanza diminuisce dai 7.690 chilometri iniziali.
Atterriamo a Rio de Janeiro già di buon mattino, rendendomi conto che lo scenario è completamente cambiato: siamo finalmente in Brasile. Uscendo dall’ aeroporto incontriamo la nostra guida che con un caloroso saluto ci accomoda nel pulmino e accompagna in hotel per scaricare i bagagli e fare un’ottima colazione con frutta strabiliante e varie specialità sia dolci che salate, mai assaggiate prima. L’ hotel è situato al lato nord di Copacabana, proprio fronte spiaggia: al settimo piano dalla finestra della mia camera c’è un bellissimo panorama, con molta gente in spiaggia fin dal primo mattino, che corre e fa sport. Partiamo con la guida che ci porta verso il centro di Rio, ma oggi è domenica e c’è poco traffico per le strade, così procediamo spediti con qualche breve sosta per farci vedere esternamente le realtà delle Favelas e qualche facciata monumentale, poi rientriamo in serata per sistemarci, riposare un’oretta e uscire a cena. Camminando lungomare, troviamo una serie di chioschi, uno ogni 30 metri per tutti i 4 chilometri di spiaggia già affollati sin dalle ore 17, e tutti in allegria con musica dal vivo, qualche stuzzichino e cocktail vari, ma decidiamo di spostarci in mezzo alle viette, dove decidiamo di bere un aperitivo in un localino: qui abbiamo bevuto la miglior Caipirinha della mia vita con polpa di maracuja e ci siamo spostati poi in un ristorante per mangiare dell’ottima carne.
Il giorno successivo la guida ci ha portati a visitare la gigantesca statua del Cristo a Corcovado, dove ci si rende conto quanto sia imponente questa grande opera che domina e sovrasta la città, custodita da numerose e simpatiche scimmiette che, abituate all’affollamento della gente, si lasciano tranquillamente fotografare. Scesi dalla montagna con il trenino, la guida ci accompagna nel cuore di un coloratissimo mercatino di frutta e verdura da mangiare con gli occhi e street food locali, accostati a un gruppetto di strada che suonando dal vivo intratteneva i passanti. Dopo una breve sosta siamo andati a vedere il quartiere di Santa Teresa con l’assaggio di una specie di panzerotto cotto al forno molto saporito. La sera siamo usciti a cena con una ex compagna universitaria di Giorgia che insegna italiano proprio a Rio, e con lei c’erano suo marito e 4 alunni che, al posto di fare lezione in aula, hanno potuto parlare con noi imparando qualche nuova parola e trascorrendo un’allegra serata in compagnia.
L’ultimo giorno a Copacabana, di buon mattino, dopo la solita colazione a base di frutta freschissima, colorata e dal profumo inebriante, con una dolcezza che non avevo mai mangiato prima – del resto qui la raccolta avviene al momento della totale maturazione donandole un sapore unico -, siamo usciti con una jeep aperta tipo safari per visitare una parte di Tijuca, la più grande foresta cittadina del mondo dai panorami mozzafiato, bagni d’acqua fresca e numerose cascate che sembrano sgorgare dal cielo, con alberi secolari che si innalzano altissimi e con le maestose chiome che oscurano il terreno sottostante donandoci un particolare refrigerio. In questo paesaggio incantato, verde e selvaggio, abitano scimmiette, tucani, farfalle giganti, uccelli, vari insetti, di cui un mosquito che con le sue punture ci ha lasciato qualche bel fastidioso ricordino per qualche giorno: questa foresta è un vero e proprio paradiso terrestre. Al ritorno un giardino botanico ci mostra il suo splendore con le varietà di piante e arbusti presenti in questo gigantesco stato del Brasile e all’interno troviamo un laghetto con molte tartarughe immobili che prendono il sole e altre che nuotano tranquille tra le piante acquatiche. Camminando tra i vialetti incontriamo delle simpatiche scimmiette che saltellano tra il prato e le piante. Nel pomeriggio ci arriva l’ok per la visita guidata all’interno di Rocinha – la favela più grande del Paese, con circa 210.000 abitanti. Dopo una lunga salita con strade sconnesse, scendiamo dal furgoncino e subito respiriamo un’aria pesante e molto puzzolente, quasi da latrina, che passo dopo passo si affievolisce, e a lato strada cumoli di rottami, macerie e immondizia, qui bisogna prestare massima attenzione per dove si mettono i piedi per non inciampare, scivolare o essere investiti da un continuo via vai di automobili mal ridotte e sciami di motociclette – prevalentemente Honda CG 160 Titan – che sfrecciano su e giù dalla collina condotte in modo anarchico. Procediamo su uno pseudo marciapiede che a tratti ci protegge dai veicoli: alzando gli occhi al cielo noto tanti tralicci con un groviglio di fili mai visto prima che portano elettricità, telefono e rete nelle varie abitazioni, perché qui quando un cavo non funziona più è abitudine tirarne uno nuovo senza più togliere il vecchio, ecco perché sopra la testa si ha una sorta di ragnatela. Salendo e scendendo su rampe e scale, addentrandoci tra stanze, abitazioni e cunicoli mai terminati di costruire – alcuni in costruzione e ampliamento -, fatiscenti, colorati, con scritte o murales, arriviamo in una terrazza al quarto piano adibita a bar e dopo tutto quel percorso ci beviamo una caipirinha e riposiamo per una decina di minuti scattando pure qualche foto perché altrove è proibito. Scendiamo e ci fermiamo in un angolo nel piano sottostante per acquistare qualche gadget di ricordo, e tra i negozietti noto un’officina delle tante che stava sistemando una motocicletta a suon di martellate, altre con rigoli di olio motore esausto lungo le caditoie stradali. Molta gente in giro per le strade con borse della spesa o qualcuno che fa da palo per controllare la situazione e assicurarsi che tutto proceda nel loro modo.
L’indomani la nostra guida ci accompagna in aeroporto per il proseguo del viaggio verso Vitória, la capitale dello stato di Espírito Santo, rivedendo durante il tragitto i magnifici paesaggi di Copacabana con le continue e spumeggianti onde dell’oceano che accarezzano la spiaggia, come pure il caotico traffico dell’enorme città di Rio de Janeiro. Arrivati a Vitória, dopo un’oretta di volo, nemmeno il tempo di uscire dall’aeroporto, veniamo accolti con un caloroso saluto da parte di alcuni membri della delegazione di nove persone conosciute il mese precedente a Castelminio di Resana (TV) per stipulare un patto di amicizia con Venda Nova do Imigrante, un comune dello stato di Espírito Santo, in Brasile, avvenuto grazie al Centro Studi Grandi Migrazioni. Queste splendide persone ci sistemano i bagagli e ci accolgono nel loro grande pulmino, accompagnandoci in centro a Vitória per pranzare in compagnia con la moqueca, una pietanza tradizionale locale, a base di pesce affogato nelle verdure, buonissimooo… mancava solo un buon bianchetto!!!
Ripartiamo verso Venda Nova do Imigrante e dopo qualche ora di strada mista collinare un po’ sconnessa dai paesaggi a tratti selvaggi, con un provetto pilota da Formula 1, arriviamo nel loro Municipio, dove veniamo accolti dal sindaco e tutti gli amministratori comunali, presentandoci uno ad uno, dopo vari discorsi e fotografie veniamo invitati a partecipare a un succulento banchetto di benvenuto: nonostante conoscessi appena qualche membro ero rilassatissimo e mi sentivo già a casa mia. Dopo la conferenza sulle Grandi Migrazioni, tenuta da Giorgia presso il teatro, mentre gli altri hanno proseguito per la cena, l’ho accompagnata a registrare un podcast in uno studio poco lontano percorrendo strade molto sconnesse in terra battuta.
Il giorno seguente, di primo mattino, siamo andati a Santa Teresa che è il primo paese di colonizzazione italiana, e quest’anno ricorre il 150° anniversario. Qui abbiamo visitato il museo dell’emigrazione, Giorgia ha tenuto tre conferenze su questo tema: due erano presso le scuole, dove gli studenti erano entusiasti di partecipare e le facevano numerose domande, mentre noi, imbarazzati e timidi, ci siamo presentati davanti a tutti. Siamo stati in visita a VOLUNTARIAS, un’associazione di sole donne volontarie che realizzano ricami, merletti, uncinetto, punto croce – vere e proprie opere d’arte – per raccogliere fondi da donare all’ospedale. Verso mezzogiorno in un locale tipico abbiamo mangiato un’eccezionale picanha. La terza conferenza si è tenuta nella sede di un gruppo folcloristico, che si è esibito con costumi e canti popolari italiani, purtroppo da noi dimenticati, con tanto di Regina e Principesse, e per noi, nuovi di questi luoghi, la gente incuriosita si avvicinava per fare domante e sapere da dove vanivamo, abbracciandoci e stringendoci la mano.
Durante il soggiorno a Venda Nova abbiamo visitato alcuni agriturismi, la cantina Mattiello e un produttore di cachaça, mostrandoci il processo produttivo e assaggiando vari prodotti aromatizzati e masticato la fibrosa canna da zucchero per sentirne la dolcezza. Mi ha colpito un piccolo produttore di formaggi, due ragazzi italiani di Arzignano (VI) poco più che trentenni, otto anni fa hanno deciso di affrontare questa sfida appoggiati da un mastro casaro conosciuto in tutto il mondo, producendo alcuni formaggi vaccini e caprini con le nostre ricette italiane e un latte più naturale perché di pascolo, ma più povero di elementi organolettici, percependo nel formaggio un gusto che ricorda il nostro solo che meno saporito, a parte lo yogurt, molto più cremoso e squisito. Una visita che ho molto apprezzato è stata nell’orchideario più grande del Sud America, con molte specie e colorazioni mai viste prima.
Il venerdì sera a Venda Nova inizia la “Festa da Polenta”, motivo principale per cui siamo qui. Arriviamo all’interno dell’area e si apre uno scenario immenso, tre capannoni ad arco affiancati, altri tendoni staccati, qualche bancarella, saranno oltre tre campi da calcio di superfice festosa, recintata con ingresso a pagamento. La serata inizia con la sfilata su una lunga passerella con percorso ad anello, all’interno una fila di coloratissimi fiori, per far sì che sfilino e si presentino alcune concorrenti locali per l’elezione di due principesse e una regina, che saranno le madrine delle feste di tutto l’anno, senza far mai mancare canzoni popolari italiane. Dopo la incoronazione dalla regina e la scelta delle principesse, veniamo a sorpresa chiamati sul palco assieme al sindaco e a illustri personaggi della festa, davanti a un pubblico molto gremito.
Il sabato mattino si parte con una sfilata di carri trainati da trattori e la gente con costumi e vestiti di una volta, musiche sempre popolari italiane e così parte la sfilata per le vie del paese, arrivando alla festa. La sera in un palco si presentano canti italiani, poi un mega concerto con un gruppo rock nazionale fino a mezzanotte, e poi intrattenimento del folclore italiano.
La domenica mattina si celebra la messa, in parte in lingua italiana, accompagnata da un elegante coro vestito con una tunica in raso blu e noi sempre in prima linea seduti nel secondo banco dietro alle principesse e alla regina. Alla fine della messa veniamo invitati a salire sull’altare, di fronte a una chiesa piena di gente, per l’ennesima volta pensavo di sprofondare al momento della presentazione individuale, ma allo stesso tempo mi ci stavo quasi abituando. Uscendo dalla chiesa molte persone si intrattenevano con noi sia in lingua italiana che in dialetto per riesumare i bei tempi passati. Procediamo alla festa da polenta e li vediamo qualche vecchio macchinario per l’estrazione del liquido della canna da zucchero e una grande padella di oltre un metro al fuoco per far evaporare il liquido, rimestandolo continuamente per non caramellare lo zucchero e ottenere così una pasta marroncina dolcissima da usare per dolci e altro. Nelle vicinanze un mulino ad acqua dimostrava come nei tempi passati si macinava il mais per la polenta. Sempre nei posti riservati assistiamo al taglio di una grande forma di formaggio che poi verrà data a pezzetti al pubblico. Ora giungiamo al paiolo del nonno che sta fumando, un grande pentolone, presumo in ghisa, contenente 1.200 kg di polenta, viene ancorato con delle catene e sollevato da carrucole e pian piano la polenta è versata in un carrello per poi essere portata in cucina per impiattare quella liquida o metterla negli stampi a parallelepipedo, e una volta freddata verrà inserita nella taglierina per far fette o cubettarla.
Durante queste operazioni nel circondario è una festa, una folla ammassata davanti alle transenne intenta a far foto, filmati o semplicemente gustarsi lo spettacolo. Ho avuto l’onore di assistere dal vivo e in prima fila a questi vari eventi succeduti in questo fantastico viaggio, sono stato servito e coccolato dalla delegazione che ci ha seguiti e accompagnati nei vari luoghi, ricevuto molti doni ad ogni visita, fermato dalla gente per due semplici parole spese con il cuore, strette di mano e abbracci sinceri…eravamo dei divi…
Mi sembra di aver vissuto in un’altra epoca di recente passato, quando anche da noi certi valori erano vivi e vissuti quotidianamente…
Che Bei Tempi!!!
Un ringraziamento particolare va al Centro Studi Grandi Migrazioni e a chi mi ha permesso di vivere questa fantastica esperienza.
La delegazione del Centro Studi Grandi Migrazioni in Brasile
Lo scorso ottobre 2024, in occasione dell’anno del Turismo delle Radici nonché dell’anniversario dei 150 anni dal primo sbarco di migranti italiani in Brasile, una delegazione del Centro Studi Grandi Migrazioni è partita per un viaggio nell’affascinante Brasile. Tra natura e bellezza, ma anche tra persone, discendenti di italiani che vivono con il cuore rivolto verso il nostro Paese, un itinerario speciale ha guidato la delegazione a partire da Rio de Janeiro e poi attraverso lo Stato di Espirito Santo, dove un’immersione nella cultura e nella storia dei luoghi ha permesso ai partecipanti di conoscere gli italo-veneti che vivono in queste comunità e di assistere alla più grande festa della polenta al mondo! Un viaggio, quindi, anche tra vestiti tipici, musiche, canti, feste, tradizioni, gastronomia, lingua e folclore, che li ha riportati indietro nel tempo. Di seguito le testimonianze scritte di proprio pugno da tre partecipanti.
Il mio viaggio in Brasile
di Monica Simionato
Dico mio, perché è stato il mio primo viaggio oltre oceano, perché ho sentito il Brasile come il mio Paese, dico mio perché è stata la mia esperienza di vita.
Ho scoperto due Brasili diversi:
Rio de Janeiro, una città dalla vita mondana, spiaggia, cocktail, vacanze, dove ho visto posti incantevoli come il Cristo Redentore, il Pan di Zucchero, il centro storico di Rio, la Foresta di Tijuca e il giardino botanico, un po’ meno piacevole è stata la visita alla favela Rocinha, perché mi son posta molte domande in quel momento, ad esempio non si riesce a fare nulla per migliorare? È una cosa di convenienza? Non ho trovato risposte solamente tanta tristezza e amarezza.
Proseguendo il mio viaggio ho trovato la mia Italia a Venda Nova do Imigrante, l’Italia che non ho vissuto… perché non ancora nata ma raccontata dai miei nonni…
Solo a ricordare quei giorni mi viene la pelle d’oca, figuriamoci a viverli, quell’accoglienza, quell’affetto che vivo solo con i miei genitori e chi mi vuole bene.
Sono stati giorni in “famiglia”, visitando l’archivio pubblico sull’emigrazione a Vitoria, incontrando l’amministrazione comunale di Venda Nova do Imigrante, abbiamo visitato scuole per parlare con Giorgia dei 150 anni dalle prime migrazioni, visitato caseifici, cantine, associazioni di volontariato e poi la Festa da Polenta tra cibo e divertimento.
Che dire, rimarrà tutto custodito nel mio cuore, un’esperienza da condividere, ma anche da fare invidia.
La mia esperienza in Brasile
di Tiziana Polo
Tutto è iniziato un anno fa nel mese di settembre. Durante la “Festa dea Poenta” a Castelminio di Resana (TV), Giorgia Miazzo e Gianluca Parise hanno presentato il loro libro “Oro Giallo. Alla scoperta delle Vie del Mais nel Mondo” e da lì ha iniziato a prendere forma un progetto che con il passare del tempo è diventato sempre più ambizioso e si è concluso in questi giorni, proprio con un viaggio in Brasile.
Ho condiviso quest’esperienza con altre quattro persone e l’itinerario, pensato ed organizzato dalla stessa Giorgia, era diviso in due tappe principali.
La prima tappa ci ha portati a conoscere la famosa Rio de Janeiro. In tre giorni abbiamo visto la città in tutte le sue sfaccettature: il centro storico, il porto, gli edifici secolari che ospitano istituzioni governative e banche, le stradine tortuose, il teatro municipale, la Biblioteca Nazionale, il Museo delle Belle Arti, il lungomare di Copacabana, il Cristo Rendentor – la famosa statua situata in cima al Monte Corcovado -, il Pan di Zucchero, il quartiere storico di Santa Teresa, la coloratissima Scalinata Selaron, la foresta tropicale Tijuca, il giardino botanico, la Cattedrale Metropolitana e la favela Rocinha. Questi sono solo alcuni dei fantastici posti che abbiamo avuto il piacere di visitare e che sicuramente rimarranno tutti impressi nella mia memoria.
In ogni angolo della città si poteva scorgere il belvedere della baia con l’oceano e le spiagge. Il popolo brasiliano, sempre sorridente e accogliente, con la sua musica, i suoi colori e i suoi sapori, dimostra di saper dare valore alla vita ed importanza alle piccole cose.
La seconda parte del viaggio ci ha portati per circa cinque giorni a Venda Nova do Imigrante, dove si festeggiavano i 150 anni della migrazione italiana in Brasile. Questa cittadina è situata nello stato dello Espírito Santo ed è stata oggetto di una forte ondata migratoria di persone provenienti dal Veneto. Nel mese di settembre, durante la nostra “Festa dea Poenta”, in collaborazione con il Centro Studi Grandi Migrazioni, abbiamo avuto in visita una delegazione brasiliana proveniente proprio da Venda Nova do Imigrante, con la quale abbiamo siglato “un patto di amicizia” ed abbiamo pertanto colto l’occasione per rafforzare questo gemellaggio con la nostra visita. Abbiamo avuto, fin da subito, un’accoglienza strepitosa e abbiamo incontrato le autorità locali, il sindaco, la giunta e tutta la delegazione brasiliana, consolidando, appunto, questo rapporto.
Nei primi due giorni, Giorgia ci ha fatto conoscere varie realtà dello stato dello Espírito Santo: abbiamo partecipato come uditori ad alcuni convegni presso le scuole, ad incontri con autorità, abbiamo visitato l’archivio storico, cenato con un gruppo di alunni che stavano imparando l’italiano e visitato alcune aziende del luogo.
Sono rimasta stupita dal senso di appartenenza del popolo di Venda Nova do Imigrante: è bello vedere che, anche lontani dalla madrepatria, non hanno dimenticato le loro radici, ma hanno trovato un modo di tenere salde e vive le tradizioni, coltivando la lingua madre e continuando a tramandarla anche ai bambini, conservando canti, balli, costumi e feste che riuniscono tantissime persone attratte, ad esempio, dal “tombo da polenta” gigante che versa 1.200 kg di prodotto.
Questo viaggio mi ha fatto capire che Venda Nova non è semplicemente un paese di venticinque mila abitanti, ma è una famiglia. Non ci sono distinzioni: vecchi e bambini si radunano, parlano, cantano, ballano, mangiano, bevono e condividono tempo e tradizioni. E sono proprio le tradizioni il fil rouge che tiene ancorate queste persone alle loro radici e che le fa sentire di essere più vicine all’Italia, la terra dei loro antenati, e quella che considerano la loro casa.
Un viaggio emozionante
di Loris Pegorin
Partiamo per Rio de Janeiro con volo da Venezia: io, la mia cara amica Giorgia e tre a me sconosciuti. È il mio primo viaggio fuori dall’ Europa, sono sereno, ma carico e desideroso di scoprire nuovi mondi.
Atterriamo a Lisbona in tarda serata dopo un paio d’ore di volo regolare, in questo grande aeroporto di Portela, uno dei maggiori traffici aerei d’ Europa, facciamo pausa caffè, dialogando fra di noi per conoscerci un po’. Ci incamminiamo verso il gate e in pochi minuti siamo seduti e pronti per il decollo: destinazione Rio. Qui appuro che l’aereo cambia rispetto il volo e i voli precedenti che avevo fatto, un maggior comfort e uno schermo tutto mio con cuffiette per radio e film, l’hostess mi consegna pure cuscino e coperta per affrontare meglio le dieci ore di volo che ci aspettano. Nonostante cerchi di addormentarmi in più momenti del viaggio, vengo distratto dal monitor che in tempo reale mi mostra i parametri di volo tra distanza, velocità, altitudine e la rigida temperatura esterna di -60° a quasi 12.200 metri di altezza – nel frattempo la distanza diminuisce dai 7.690 chilometri iniziali.
Atterriamo a Rio de Janeiro già di buon mattino, rendendomi conto che lo scenario è completamente cambiato: siamo finalmente in Brasile. Uscendo dall’ aeroporto incontriamo la nostra guida che con un caloroso saluto ci accomoda nel pulmino e accompagna in hotel per scaricare i bagagli e fare un’ottima colazione con frutta strabiliante e varie specialità sia dolci che salate, mai assaggiate prima. L’ hotel è situato al lato nord di Copacabana, proprio fronte spiaggia: al settimo piano dalla finestra della mia camera c’è un bellissimo panorama, con molta gente in spiaggia fin dal primo mattino, che corre e fa sport. Partiamo con la guida che ci porta verso il centro di Rio, ma oggi è domenica e c’è poco traffico per le strade, così procediamo spediti con qualche breve sosta per farci vedere esternamente le realtà delle Favelas e qualche facciata monumentale, poi rientriamo in serata per sistemarci, riposare un’oretta e uscire a cena. Camminando lungomare, troviamo una serie di chioschi, uno ogni 30 metri per tutti i 4 chilometri di spiaggia già affollati sin dalle ore 17, e tutti in allegria con musica dal vivo, qualche stuzzichino e cocktail vari, ma decidiamo di spostarci in mezzo alle viette, dove decidiamo di bere un aperitivo in un localino: qui abbiamo bevuto la miglior Caipirinha della mia vita con polpa di maracuja e ci siamo spostati poi in un ristorante per mangiare dell’ottima carne.
Il giorno successivo la guida ci ha portati a visitare la gigantesca statua del Cristo a Corcovado, dove ci si rende conto quanto sia imponente questa grande opera che domina e sovrasta la città, custodita da numerose e simpatiche scimmiette che, abituate all’affollamento della gente, si lasciano tranquillamente fotografare. Scesi dalla montagna con il trenino, la guida ci accompagna nel cuore di un coloratissimo mercatino di frutta e verdura da mangiare con gli occhi e street food locali, accostati a un gruppetto di strada che suonando dal vivo intratteneva i passanti. Dopo una breve sosta siamo andati a vedere il quartiere di Santa Teresa con l’assaggio di una specie di panzerotto cotto al forno molto saporito. La sera siamo usciti a cena con una ex compagna universitaria di Giorgia che insegna italiano proprio a Rio, e con lei c’erano suo marito e 4 alunni che, al posto di fare lezione in aula, hanno potuto parlare con noi imparando qualche nuova parola e trascorrendo un’allegra serata in compagnia.
L’ultimo giorno a Copacabana, di buon mattino, dopo la solita colazione a base di frutta freschissima, colorata e dal profumo inebriante, con una dolcezza che non avevo mai mangiato prima – del resto qui la raccolta avviene al momento della totale maturazione donandole un sapore unico -, siamo usciti con una jeep aperta tipo safari per visitare una parte di Tijuca, la più grande foresta cittadina del mondo dai panorami mozzafiato, bagni d’acqua fresca e numerose cascate che sembrano sgorgare dal cielo, con alberi secolari che si innalzano altissimi e con le maestose chiome che oscurano il terreno sottostante donandoci un particolare refrigerio. In questo paesaggio incantato, verde e selvaggio, abitano scimmiette, tucani, farfalle giganti, uccelli, vari insetti, di cui un mosquito che con le sue punture ci ha lasciato qualche bel fastidioso ricordino per qualche giorno: questa foresta è un vero e proprio paradiso terrestre. Al ritorno un giardino botanico ci mostra il suo splendore con le varietà di piante e arbusti presenti in questo gigantesco stato del Brasile e all’interno troviamo un laghetto con molte tartarughe immobili che prendono il sole e altre che nuotano tranquille tra le piante acquatiche. Camminando tra i vialetti incontriamo delle simpatiche scimmiette che saltellano tra il prato e le piante. Nel pomeriggio ci arriva l’ok per la visita guidata all’interno di Rocinha – la favela più grande del Paese, con circa 210.000 abitanti. Dopo una lunga salita con strade sconnesse, scendiamo dal furgoncino e subito respiriamo un’aria pesante e molto puzzolente, quasi da latrina, che passo dopo passo si affievolisce, e a lato strada cumoli di rottami, macerie e immondizia, qui bisogna prestare massima attenzione per dove si mettono i piedi per non inciampare, scivolare o essere investiti da un continuo via vai di automobili mal ridotte e sciami di motociclette – prevalentemente Honda CG 160 Titan – che sfrecciano su e giù dalla collina condotte in modo anarchico. Procediamo su uno pseudo marciapiede che a tratti ci protegge dai veicoli: alzando gli occhi al cielo noto tanti tralicci con un groviglio di fili mai visto prima che portano elettricità, telefono e rete nelle varie abitazioni, perché qui quando un cavo non funziona più è abitudine tirarne uno nuovo senza più togliere il vecchio, ecco perché sopra la testa si ha una sorta di ragnatela. Salendo e scendendo su rampe e scale, addentrandoci tra stanze, abitazioni e cunicoli mai terminati di costruire – alcuni in costruzione e ampliamento -, fatiscenti, colorati, con scritte o murales, arriviamo in una terrazza al quarto piano adibita a bar e dopo tutto quel percorso ci beviamo una caipirinha e riposiamo per una decina di minuti scattando pure qualche foto perché altrove è proibito. Scendiamo e ci fermiamo in un angolo nel piano sottostante per acquistare qualche gadget di ricordo, e tra i negozietti noto un’officina delle tante che stava sistemando una motocicletta a suon di martellate, altre con rigoli di olio motore esausto lungo le caditoie stradali. Molta gente in giro per le strade con borse della spesa o qualcuno che fa da palo per controllare la situazione e assicurarsi che tutto proceda nel loro modo.
L’indomani la nostra guida ci accompagna in aeroporto per il proseguo del viaggio verso Vitória, la capitale dello stato di Espírito Santo, rivedendo durante il tragitto i magnifici paesaggi di Copacabana con le continue e spumeggianti onde dell’oceano che accarezzano la spiaggia, come pure il caotico traffico dell’enorme città di Rio de Janeiro. Arrivati a Vitória, dopo un’oretta di volo, nemmeno il tempo di uscire dall’aeroporto, veniamo accolti con un caloroso saluto da parte di alcuni membri della delegazione di nove persone conosciute il mese precedente a Castelminio di Resana (TV) per stipulare un patto di amicizia con Venda Nova do Imigrante, un comune dello stato di Espírito Santo, in Brasile, avvenuto grazie al Centro Studi Grandi Migrazioni. Queste splendide persone ci sistemano i bagagli e ci accolgono nel loro grande pulmino, accompagnandoci in centro a Vitória per pranzare in compagnia con la moqueca, una pietanza tradizionale locale, a base di pesce affogato nelle verdure, buonissimooo… mancava solo un buon bianchetto!!!
Ripartiamo verso Venda Nova do Imigrante e dopo qualche ora di strada mista collinare un po’ sconnessa dai paesaggi a tratti selvaggi, con un provetto pilota da Formula 1, arriviamo nel loro Municipio, dove veniamo accolti dal sindaco e tutti gli amministratori comunali, presentandoci uno ad uno, dopo vari discorsi e fotografie veniamo invitati a partecipare a un succulento banchetto di benvenuto: nonostante conoscessi appena qualche membro ero rilassatissimo e mi sentivo già a casa mia. Dopo la conferenza sulle Grandi Migrazioni, tenuta da Giorgia presso il teatro, mentre gli altri hanno proseguito per la cena, l’ho accompagnata a registrare un podcast in uno studio poco lontano percorrendo strade molto sconnesse in terra battuta.
Il giorno seguente, di primo mattino, siamo andati a Santa Teresa che è il primo paese di colonizzazione italiana, e quest’anno ricorre il 150° anniversario. Qui abbiamo visitato il museo dell’emigrazione, Giorgia ha tenuto tre conferenze su questo tema: due erano presso le scuole, dove gli studenti erano entusiasti di partecipare e le facevano numerose domande, mentre noi, imbarazzati e timidi, ci siamo presentati davanti a tutti. Siamo stati in visita a VOLUNTARIAS, un’associazione di sole donne volontarie che realizzano ricami, merletti, uncinetto, punto croce – vere e proprie opere d’arte – per raccogliere fondi da donare all’ospedale. Verso mezzogiorno in un locale tipico abbiamo mangiato un’eccezionale picanha. La terza conferenza si è tenuta nella sede di un gruppo folcloristico, che si è esibito con costumi e canti popolari italiani, purtroppo da noi dimenticati, con tanto di Regina e Principesse, e per noi, nuovi di questi luoghi, la gente incuriosita si avvicinava per fare domante e sapere da dove vanivamo, abbracciandoci e stringendoci la mano.
Durante il soggiorno a Venda Nova abbiamo visitato alcuni agriturismi, la cantina Mattiello e un produttore di cachaça, mostrandoci il processo produttivo e assaggiando vari prodotti aromatizzati e masticato la fibrosa canna da zucchero per sentirne la dolcezza. Mi ha colpito un piccolo produttore di formaggi, due ragazzi italiani di Arzignano (VI) poco più che trentenni, otto anni fa hanno deciso di affrontare questa sfida appoggiati da un mastro casaro conosciuto in tutto il mondo, producendo alcuni formaggi vaccini e caprini con le nostre ricette italiane e un latte più naturale perché di pascolo, ma più povero di elementi organolettici, percependo nel formaggio un gusto che ricorda il nostro solo che meno saporito, a parte lo yogurt, molto più cremoso e squisito. Una visita che ho molto apprezzato è stata nell’orchideario più grande del Sud America, con molte specie e colorazioni mai viste prima.
Il venerdì sera a Venda Nova inizia la “Festa da Polenta”, motivo principale per cui siamo qui. Arriviamo all’interno dell’area e si apre uno scenario immenso, tre capannoni ad arco affiancati, altri tendoni staccati, qualche bancarella, saranno oltre tre campi da calcio di superfice festosa, recintata con ingresso a pagamento. La serata inizia con la sfilata su una lunga passerella con percorso ad anello, all’interno una fila di coloratissimi fiori, per far sì che sfilino e si presentino alcune concorrenti locali per l’elezione di due principesse e una regina, che saranno le madrine delle feste di tutto l’anno, senza far mai mancare canzoni popolari italiane. Dopo la incoronazione dalla regina e la scelta delle principesse, veniamo a sorpresa chiamati sul palco assieme al sindaco e a illustri personaggi della festa, davanti a un pubblico molto gremito.
Il sabato mattino si parte con una sfilata di carri trainati da trattori e la gente con costumi e vestiti di una volta, musiche sempre popolari italiane e così parte la sfilata per le vie del paese, arrivando alla festa. La sera in un palco si presentano canti italiani, poi un mega concerto con un gruppo rock nazionale fino a mezzanotte, e poi intrattenimento del folclore italiano.
La domenica mattina si celebra la messa, in parte in lingua italiana, accompagnata da un elegante coro vestito con una tunica in raso blu e noi sempre in prima linea seduti nel secondo banco dietro alle principesse e alla regina. Alla fine della messa veniamo invitati a salire sull’altare, di fronte a una chiesa piena di gente, per l’ennesima volta pensavo di sprofondare al momento della presentazione individuale, ma allo stesso tempo mi ci stavo quasi abituando. Uscendo dalla chiesa molte persone si intrattenevano con noi sia in lingua italiana che in dialetto per riesumare i bei tempi passati. Procediamo alla festa da polenta e li vediamo qualche vecchio macchinario per l’estrazione del liquido della canna da zucchero e una grande padella di oltre un metro al fuoco per far evaporare il liquido, rimestandolo continuamente per non caramellare lo zucchero e ottenere così una pasta marroncina dolcissima da usare per dolci e altro. Nelle vicinanze un mulino ad acqua dimostrava come nei tempi passati si macinava il mais per la polenta. Sempre nei posti riservati assistiamo al taglio di una grande forma di formaggio che poi verrà data a pezzetti al pubblico. Ora giungiamo al paiolo del nonno che sta fumando, un grande pentolone, presumo in ghisa, contenente 1.200 kg di polenta, viene ancorato con delle catene e sollevato da carrucole e pian piano la polenta è versata in un carrello per poi essere portata in cucina per impiattare quella liquida o metterla negli stampi a parallelepipedo, e una volta freddata verrà inserita nella taglierina per far fette o cubettarla.
Durante queste operazioni nel circondario è una festa, una folla ammassata davanti alle transenne intenta a far foto, filmati o semplicemente gustarsi lo spettacolo. Ho avuto l’onore di assistere dal vivo e in prima fila a questi vari eventi succeduti in questo fantastico viaggio, sono stato servito e coccolato dalla delegazione che ci ha seguiti e accompagnati nei vari luoghi, ricevuto molti doni ad ogni visita, fermato dalla gente per due semplici parole spese con il cuore, strette di mano e abbracci sinceri…eravamo dei divi…
Mi sembra di aver vissuto in un’altra epoca di recente passato, quando anche da noi certi valori erano vivi e vissuti quotidianamente…
Che Bei Tempi!!!
Un ringraziamento particolare va al Centro Studi Grandi Migrazioni e a chi mi ha permesso di vivere questa fantastica esperienza.
Grazie
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