ROBERT LOUIS STEVENSON, EMIGRANTE PER DILETTO di Andrea Passerelli (Prima parte)

23 Giugno 2025 Centro Studi Grandi Migrazioni Comments Off

 

Il 7 agosto 1879, a ventinove anni non ancora compiuti (era nato il 13 novembre 1850), Robert Louis Stevenson salpa dal porto di Glasgow per affrontare la traversata atlantica che, assieme ad un certo numero di suoi connazionali e altri passeggeri di diversa nazionalità, lo condurrà in Nord America. Non è un viaggio di piacere, non riguarda strettamente la sua professione di scrittore e giornalista: vuole raggiungere la California per ricongiungersi a Fanny van de Grift, sposata Osbourne, conosciuta in Francia tre anni prima e con cui era nata una profonda relazione.

Il viaggio per mare e la conseguente traversata degli Stati Uniti da est a ovest, porteranno alla stesura di due testi, The Amateur Emigrant1 (pubblicato nel 1895) e Across the Plains2 (pubblicato nel 1892).

Il viaggio mette a contatto Stevenson con l’universo dell’emigrazione che dalle isole britanniche muove verso il Nuovo Mondo.

La descrizione della variopinta umanità con cui spartisce il tempo della traversata, lascia filtrare anche osservazioni sulla musica che fa da colonna sonora al viaggio e citazioni di titoli di canti, ballate, musiche di danza eseguite a bordo del Devonia, il vapore salpato dal porto scozzese.

Ecco una prima descrizione di un momento musicale sul ponte del battello (brano tratto dal capitolo Prime impressioni, dell’edizione Einaudi a cura di Giovanna Mochi):

            Ma la voglia di cantare era forte, e trionfò sulla timidezza e anche sulla inclemenza del mare e del cielo. In quel tempestoso sabato sera, ci riunimmo sulla tuga del ponte principale, in un punto riparato dal vento e dalla pioggia. Alcuni abbarbicati a una scala che portava al ponte di manovra, e gli altri a braccetto, o per mano, facendo un cerchio per sostenere le donne quando la nave dava una sbandata più violenta; e, una volta sistemati, cantammo con tutto il cuore. Certe canzonette da Music Hall, come “Around her splendid form, I weawed the magic circle”, suonavano squallide, insulse, e irrimediabilmente stupide. “We don’t want to fight, but, by Jingo, if we do” si salvò un po’, grazie all’irruenza con cui l’intero coro si levò nella notte. C’era un muratore della Germania del Nord che, senza sapere una parola di inglese, contribuiva generosamente all’effetto generale. E forse il muratore tedesco non è che un esempio della sincerità con cui quella canzone veniva interpretata. E, poiché quasi tutti coloro con i quali mi capitò di parlarne, erano profondamente contrari alla guerra, e attribuivano gran parte delle loro disgrazie, e magari anche il loro amore per il whisky, alle campagne nello Zululand e in Afghanistan.

            Ogni tanto, comunque, veniva cantata anche qualche canzone che alludeva al dramma della nostra situazione; e allora, dal rinforzare delle voci, si capiva quanto tutti la sentissero. “The Anchor’s Weighed” era per noi la realtà. Eravamo davvero “Rocked on the bosom of the stormy deep”. Quanti di noi avrebbero potuto dire, insieme a colui che cantava, “I’m lonely tonight, love, without you”, oppure, “Go, someone, and tell them from me to write a letter from home!”. E quale momento poteva essere più appropriato per “Auld Lang Syne” di quello che stavamo vivendo, momento in cui la terra, gli amici e gli affetti di quel tempo difficile ma amato svanivano e fuggivano dietro di noi, sulla scia della nave? La canzone ci faceva guardare in avanti, verso il momento in cui queste sofferenze sarebbero state cose del passato, verso il viaggio di ritorno, quando coloro che erano partiti nella primavera della vita sarebbero ritornati, vecchi, nella solita locanda, a bere ancora una volta un bicchiere di amicizia. Se Burns non avesse conosciuto l’emigrazione, non credo che avrebbe mai saputo toccare quella nota3.

 

Dunque, sulle navi di emigranti che solcavano l’oceano dirette nelle Americhe si cantava e si suonava per farsi compagnia o per ammazzare i tempi lunghi della traversata. Non erano solo canti nostalgici d’emigrazione ma, più spesso, i successi del momento, le canzoni o le arie ascoltate a teatro e diffuse attraverso i fogli volanti che ne riportavano i testi, arricchiti con qualche immagine che ne illustrava il contenuto.

 

Nel 1873 viene pubblicata la canzone da music-hall The magic circle, conosciuta anche con il titolo di The Marble Arch, l’arco trionfale presso Hide Park, a Londra, completato circa ventìanni prima. Autore ne è il cantante, performer e songwriter Sam Bagnell (1836-1885). La canzone si diffuse a stampa sotto forma di fogli volanti su entrambe le rive dell’Atlantico4 e venne ripresa da cantanti tradizionali anche nel corso del secolo successivo.

 

We don’t want to fight, but, by Jingo, if we do è una canzone pubblicata nel 1877 (due anni prima, dunque, del viaggio di Stevenson) e composta dal prolifico compositore George William Hunt (1838-1904). Il testo fa riferimento alla partecipazione britannica alla guerra Russo-Turca scoppiata proprio in quell’anno e conclusasi quello successivo dopo l’arrivo della flotta inglese nel Mar di Marmara a difesa della Turchia europea e di Costantinopoli dalle truppe russe. La canzone non ha dunque alcun riferimento allo spostamento delle popolazioni in cerca di una vita migliore, ma richiama l’orgoglio patriottico e, comunque, avventure marinare.

 

Nel passo riportato, Stevenson menziona poi la “sea song” The Anchor’s Weighed (L’ancora è salpata) composta dall’acclamato tenore John Braham (1774 ca.-1856) sulle parole di Samuel James Arnold, un brano che ci riporta al clima nostalgico delle partenze per mare e, quindi, adattissimo a far presa sulla condizione emotiva di chi stava compiendo la traversata oceanica per cercare fortuna in un paese lontano5.

 

The tear fell gently from her eye

When last we parted on the shore;

My bosom beat with many a sigh.

To think I ne’er might see her more,

“Dear youth”, she cried, and can’st thou haste away,

My heart will break; a little moment stay.

Alas I cannot, cannot part from thee;

The anchor’s weigh’d, the anchor’s weighed

farewell! farewell! Remember me.

 

Weep not, my love, I trembling said,

Doubt not a constant heart like mine!

I ne’er can meet another maid

Whose charms can fix my heart like thine!

“Go then,” she cried, but let thy constant mind,

Oft think of her you leave in tears behind;

The anchor’s weighed, the anchor’s weighed

Farewell! Farewell! Remember me.

 

Non è il caso di soffermarsi troppo, infine, sull’esecuzione da parte della compagnia imbarcata sul Devonia del diffusissimo e nostalgico canto (tradizionale?) scozzese Auld Lang Syne (in inglese Old long since, ovvero I bei tempi andati, conosciuto in Italia con il titolo di Valzer delle candele), pubblicato da George Thomson (lo stesso editore che chiese a Beethoven di rielaborare un certo numero di canti scozzesi) nel secondo volume (1803) della raccolta intitolata A Select Collection of Original Scottish Airs for The Voice7. Di questo celebre canto riportiamo anche la melodia a due voci con l’accompagnamento pianistico, così come pubblicati dal Thompson.

 

Should auld acquaintance be forgot,
And never brought to mind?
Should auld acquaintance be forgot,
And auld lang syne?

 

CORO
For auld lang syne, my dear,
For auld lang syne,
We’ll tak a cup of kindness yet,
For auld lang syne.

 

We twa ha’e run about the braes,
And pu’d the gowans fine;
But we’ve wander’d mony a weary foot,
Sin’ auld lang syne.

 

CORO

For auld lang syne, my dear, &c.

 

We twa ha’e paidlet I’ the burn,
Frae morning sun till dine;
But seas between us braid(6) ha’e roar’d,
Sin’ auld lang syne,

 

CORO

For auld lang syne, my dear, &c.

 

And there’s a hand, my trustie feire,
And gie’s a hand o’ thine:
And we’ll tak’ a right gude-willie-waught,
For auld lang syne,

 

CORO

For auld lang syne, my dear, &c.

 

And surely ye’ll be your pint-stoup,
And surely I’ll be mine;
And we’ll tak’ a cup o kindness yet,
For auld lang syne!

CORO

For auld lang syne, my dear, &c.

 

Qualche riga più su del passo riportato si fa cenno anche all’esecuzione di brani strumentali e balli accompagnati dai viaggiatori più abili nel maneggiare il violino o la fisarmonica. Gli esiti non sono sempre all’altezza delle aspettative di divertimento:

            Si fece giorno, ed era abbastanza sereno, cosicché, nella mattinata, potemmo disporre di alcune ore piacevoli, in cui portare avanti, all’aperto, la nostra conoscenza; ma verso sera il vento rinforzò, cominciò a piovere, e il mare si alzò tanto che era difficile reggersi in piedi. Ho già accennato ai nostri concerti. Eravamo proprio una compagnia di musicanti, e ci rallegravamo la via verso l’esilio con il violino, la fisarmonica, e canzoni di tutti i paesi. Belle, brutte, né belle né brutte – scozzesi, inglesi, irlandesi, russe, tedesche o norvegesi – le canzoni venivano sempre accolte da applausi entusiastici. Ci fu anche, un paio di volte, la variante di un pezzo recitato, offerto con grande vigore in un forte accento scozzese; e una volta tentammo invano, otto di noi uomini, di ballare una quadriglia, al suono del violino. Erano tutte persone allegre e spiritose, che certamente amavano fare quattro salti in privato; ma, non appena tutti si furono disposti per la danza, sembrava di assistere alla pantomima di un funerale. Non ho mai visto un senso del decoro così esasperato; e, dato che questo non era previsto, la quadriglia fu presto sospesa, e i ballerini se ne andarono sconsolati.

 

1Pubblicato in Italia con il titolo Emigrante per diletto.

2Pubblicato in Italia con il titolo Attraverso le pianure.

3R. L. Stevenson, Emigrante per diletto, Einaudi, 1987, p. 17

4http://folksongandmusichall.com/index.php/magic-circle-the/

5Una esecuzione si può ritrovare in http://www.sssa.llc.ed.ac.uk/whalsay/2014/12/09/anchors-weighd-the/

6Rimando a una breve ricerca nel web riguardo l’attribuzione della composizione della melodia al musico e cortigiano italiano Davide Rizzio, per alcuni anni presso la corte di Maria Stuarda.

7Rimando a una breve ricerca nel web riguardo l’attribuzione della composizione della melodia al musico e cortigiano italiano Davide Rizzio, per alcuni anni presso la corte di Maria Stuarda.