La vita degli immigrati è, a volte, piena di sfide umilianti e incongruenti. Sono esseri umani fuori dal loro contesto abituale di vita, costretti a sfidarsi costantemente e ad affrontare un cammino pieno di pregiudizi, stigmi e indifferenza, in un contesto radicalmente nuovo, per il quale non possiedono anticorpi pronti a difenderli. È una vita segnata da un apprendimento rapido, necessario alla sopravvivenza. Devono reimparare a volare in mezzo ad abissi culturali e linguistici, nella ricerca eterna di un senso di appartenenza tra popoli pionieri o nativi, che spesso se ne curano poco. Non sarà mai un compito facile in lotte tanto diseguali.
Alla ricerca di una vita migliore, 15 milioni di persone della penisola italica affrontarono i luridi sottoscali delle navi migratorie in viaggio verso il Nuovo Mondo. Un cammino pieno di spine, urla, disperazione, tristezza e un’eterna nostalgia di casa. Famiglie intere riposero la loro fede in giorni migliori, in terre straniere, senza sapere se avrebbero realmente raggiunto qualcosa. Molti vendettero il poco che avevano, misero le loro speranze nei bauli di vestiti, respirarono per l’ultima volta l’aria della loro terra, promettendo di tornare un giorno, ma molti non tornarono mai. Quello che seguì furono i momenti più drammatici della loro vita.
La metafora del Baobab, che rappresenta la migrazione forzata degli africani, esprime in modo preciso i sentimenti degli immigrati italiani. Spinti dalle condizioni del proprio paese, si trovarono in una situazione non molto diversa da quella del popolo africano. Quando questi immigrati misero piede sul suolo caldo dell’America, non era solo il piede nudo a sanguinare, ma erano le radici del baobab ad essere strappate dal corpo dell’albero, radici intense e profonde.
Insieme a molti connazionali, verso la metà di giugno del 1888, la famiglia Zanchetta — Angelo Zanchetta ed Elizabetta Tonietto, entrambi di 24 anni, giovani pieni di vita e speranza — salì a bordo di una nave chiamata Ila de Lozana, con un figlio di 3 anni, Giovanni, lasciando il figlio Giuseppe, di pochi mesi, sepolto a Nervesa della Battaglia. L’odore ripugnante di sudore umano, misto a vomito e aria calda soffocante in un ambiente privo di ventilazione, durò fino all’arrivo. Furono testimoni di pianti per la morte di altre persone. Se potessimo entrare nei sentimenti di quella famiglia, troveremmo la disperazione di una madre col suo primogenito, l’ansia di non perderlo dopo aver già perso un figlio, e probabilmente aver assistito alla morte di altri bambini per malattie come il tifo. Insieme al marito, abbracciò il figlio e pianse, pregando la Madonna Santa di proteggerlo. I bambini e gli anziani erano particolarmente vulnerabili alle pessime condizioni igieniche. Dopo una breve preghiera piena di dolore, affidavano i loro figli, mariti e mogli al mare salato.
Arrivati il 9 luglio 1888 al porto di Santos, furono trasportati nelle fattorie della città di Espirito Santo do Espinhal. Diversamente dal contesto del sud del Brasile, dove si crearono colonie chiuse, a Espirito Santo do Espinhal esisteva già una società formata, con parlanti portoghesi, ex-schiavi e persone della vecchia colonia portoghese. Le comunità di questa regione non erano sufficientemente isolate per mantenere la propria lingua in modo esclusivo, dovendo trattare con parlanti portoghesi in varie sfaccettature della vita sociale, come la chiesa o il commercio. Il portoghese cominciò a soffocare la cultura linguistica, obbligando alla sostituzione con la lingua locale, poiché l’immigrato era spinto a integrarsi e a creare un senso di appartenenza in una società diversa dalla propria. Il portoghese facilitò l’assimilazione linguistica per la somiglianza lessicale. Pian piano, il dialetto italiano cominciò ad assorbire parole portoghesi, rimanendo relegato al contesto familiare. La condizione stessa di immigrato, già fortemente stigmatizzata, obbligò questi stranieri ad allontanarsi progressivamente dalla loro cultura d’origine, non senza lasciare un’impronta fonetica marcata nel portoghese parlato nella regione. La famiglia Zanchetta lavorava nelle piantagioni di caffè, come giornalieri, guadagnandosi il pane giorno per giorno.
Il 17 febbraio 1895, Angelo Zanchetta morì a 30 anni, lasciando vedova la moglie Elizabetta Tomietto, con i figli Giovanni, di 10 anni, Maria di 3 anni e Pedro di dieci mesi. Da quel momento in poi, non si conosce più il destino della vedova, ma Pedro Zanchetta era conosciuto nei racconti familiari come di origine calabrese. I registri indicano che nacque a San Paolo. In generale, poiché le famiglie di origine italiana vivevano in condizioni di estrema povertà, raramente parlavano delle proprie origini, dando vita a miti orali non corrispondenti alla verità. Queste famiglie emigrarono verso i grandi centri urbani, portando con sé le proprie tradizioni d’origine, come la cultura culinaria, le tracce fonologiche nel loro portoghese e grandi difficoltà d’inserimento. Prosperarono economicamente e costruirono un capitale culturale vibrante, lasciando una memoria collettiva italiana, pur avendo abbandonato la lingua madre per le ragioni presentate. Esiste ancora oggi l’orgoglio delle proprie origini italiane, nelle feste tradizionali e nelle abitudini, trasmettendo un’italianità dormiente nelle radici del Baobab, in modo intuitivo. Pedro Zanchetta diede ai propri figli i nomi di João (Giovanni) e José (Giuseppe), perché facevano parte della sua storia. Dei suoi fratelli italiani più cari. Giuseppe morì in Italia a pochi mesi. Giovanni arrivò in Brasile. Pedro fu il più italiano dei brasiliani, nei miti familiari. Una memoria che attraversò il Pacifico e rimase registrata nella sua vera italianità brasiliana.
Imigração italiana: Dos porões dos navios ao apagamento linguístico.
Cleiton de Queiroz
A vida de imigrantes é, por vezes, cheia de desafios humilhantes e incongruentes. São seres humanos fora de seu contexto habitual de vida, que precisam se desafiarem a todo instante e enfrentarem um caminho cheio de preconceitos, estigmas e desimportância, em contexto radicalmente novo, da qual não possui anticorpos prontos para suas próprias defesas. É uma vida marcada por aprendizagem rápida para a preservação da existência. Precisam reaprender a voar em meio a abismos culturais e linguísticos, na busca eterna pelo pertencimento perante os povos pioneiros ou nativos, que pouco se importarão. Nunca será tarefa fácil diante de lutas muito desiguais.
Em busca de um uma vida melhor, 40 milhões de pessoas da península itálica, enfrentaram porões imundos dos navios imigratórios a caminho do novo mundo. Caminho cheio de espinhos, gritos, desespero, tristeza e eterna saudade do seu lar. Famílias inteiras colocaram sua fé em dias melhores, em terras estrangeiras, sem saber se realmente alcançariam alguma coisa. Muitos venderam o pouco que tinham, colocaram suas esperanças nos baús de roupas, respiraram pela última vez o ar da sua terra, prometendo um dia voltar, mas muitos nunca voltaram. O que veio a seguir foram os momentos mais dramáticos de suas vidas.
A metáfora do Baobá, que representa a imigração forçada dos africanos representa de uma forma exata os sentimentos dos imigrantes italianos. De forma forçada pela condição de seu país, colocaram-se a condição não muito diferente do povo africano. Quando esses imigrantes colocaram os pés no chão quente da américa, não era apenas o pé nu que sangrava, era a raiz do baobá sendo separada do corpo dessa árvore de raízes intensas e profundas.
Junto a diversos conacionais, em meados de junho de 1888, a família Zanchetta, isto é Angelo Zanchetta e Elizabetta Tonietto, ambos de 24 anos, jovens cheio de vida e esperança, entraram em um navio chamado Ila de Lozana com um filho de 3 anos chamado Giovanni, deixando o filho Giuseppe de 1 ano, que foi enterrado em Nervesa dela Bataglia. O cheiro repugnante de suor humano, misturado a vômito e ar quente sufocante em um ambiente sem ventilação durou até a chegada. Presenciaram choros diante da morte de outras pessoas. Se pudéssemos invadir os sentimentos dessa família, encontraríamos o desespero de uma mãe, com seu primogênito, e a ansiedade de não perdê-lo uma vez que ela já havia perdido um filho e deve ter presenciado a morte de outras crianças por doenças como a Tifo. Junto a seu marido, abraçou seu filho e chorou pedindo a Madonna Santa para preserva-lo. As crianças e as pessoas com mais idade eram muito vulneráveis as péssimas condições de higiene. Após uma breve oração cheia de dor, entregavam seus filhos, maridos, esposas ao mar salgado.
Ao chegarem em 9 de julho de 1888, no porto de Santos, foram transportados para as fazendas da cidade de Espirito Santo do Espinhal. Diferente do contexto do sul do Brasil, onde foram criadas colônias fechadas, já, em Espirito Santo do Espinhal, existia uma sociedade formada na região, com pessoas falantes do português, de pessoas da antiga colônia portuguesa e ex-escravizados. As comunidades dessa região não possuíam isolamento suficiente para manter sua língua de forma exclusiva, pois precisavam tratar com pessoas de fala portuguesa nas diversas facetas da vida social, como por exemplo na igreja, comércio, etc. O português passou a sufocar a sua cultura linguística, obrigando a substituição pela língua local, uma vez que o imigrante era pressionado a se inserir e criar seu pertencimento em uma sociedade diversa da sua. O português facilitou a assimilação linguística pela semelhança lexical. Aos poucos o dialeto italiano foi ganhando contribuições de palavras portuguesa e ficando reduzido ao contexto de casa. A própria condição de imigrante que já era uma posição muito estigmatizada obrigou a esses estrangeiros a se afastarem aos poucos de sua cultura matriz, não sem deixar uma marca fonética forte no português falado na região. A família Zanchetta trabalhava nas plantações de café, na condição de diaristas, ganhando o seu pão a cada dia trabalhado.
No dia 17 de fevereiro de 1895, falece Angelo Zanchetta, de 30 anos, deixando a esposa Elizabetta Tomietto viúva, com seu filhos Giovanni, de 10 anos, Maria de 3 anos e Pedro de dez meses. Desconhecemos a partir daqui o que ocorreu com a viúva, mas Pedro Zanchetta era conhecido por relatos familiares como de origem Calabresa. Os registros dizem que era nascido em São Paulo. Em geral, como as famílias de origem italiana viviam condições de extrema pobreza, elas quase não falavam sobre suas origens, onde surgiam mitos orais não condizentes com a verdade. Essas famílias imigraram para os grandes centros, levando com elas suas tradições de origem, como cultura culinária, marcas fonológicas no seu português e grandes dificuldades para se estabelecerem. Prosperaram financeiramente e construíram uma capital de cultura pujante, deixando uma memória coletiva italiana, mesmo abandonando sua língua raiz, pelas razões apresentadas. Existe ainda o orgulho da sua origem italiana, em suas festas tradicionais e seus costumes, ainda transmitindo sua italianidade adormecida nas raízes do Baobá, de forma intuitiva. Pedro Zanchetta deu a seus filhos, os nomes de João (Giovanni) e José (Giuseppe), pois era parte da sua história. Dos seus irmão italianos mais queridos. Giuseppe morreu na Itália com alguns meses. Giovanni chegou ao Brasil. Pedro foi o brasileiro mais italiano, nos mitos familiares. Uma memória que atravessou o pacifico e ficou registrado na sua verdadeira italianidade brasileira.
Immigrazione italiana: Dai sottoscali delle navi alla cancellazione linguistica di Cleiton de Queiroz
La vita degli immigrati è, a volte, piena di sfide umilianti e incongruenti. Sono esseri umani fuori dal loro contesto abituale di vita, costretti a sfidarsi costantemente e ad affrontare un cammino pieno di pregiudizi, stigmi e indifferenza, in un contesto radicalmente nuovo, per il quale non possiedono anticorpi pronti a difenderli. È una vita segnata da un apprendimento rapido, necessario alla sopravvivenza. Devono reimparare a volare in mezzo ad abissi culturali e linguistici, nella ricerca eterna di un senso di appartenenza tra popoli pionieri o nativi, che spesso se ne curano poco. Non sarà mai un compito facile in lotte tanto diseguali.
Alla ricerca di una vita migliore, 15 milioni di persone della penisola italica affrontarono i luridi sottoscali delle navi migratorie in viaggio verso il Nuovo Mondo. Un cammino pieno di spine, urla, disperazione, tristezza e un’eterna nostalgia di casa. Famiglie intere riposero la loro fede in giorni migliori, in terre straniere, senza sapere se avrebbero realmente raggiunto qualcosa. Molti vendettero il poco che avevano, misero le loro speranze nei bauli di vestiti, respirarono per l’ultima volta l’aria della loro terra, promettendo di tornare un giorno, ma molti non tornarono mai. Quello che seguì furono i momenti più drammatici della loro vita.
La metafora del Baobab, che rappresenta la migrazione forzata degli africani, esprime in modo preciso i sentimenti degli immigrati italiani. Spinti dalle condizioni del proprio paese, si trovarono in una situazione non molto diversa da quella del popolo africano. Quando questi immigrati misero piede sul suolo caldo dell’America, non era solo il piede nudo a sanguinare, ma erano le radici del baobab ad essere strappate dal corpo dell’albero, radici intense e profonde.
Insieme a molti connazionali, verso la metà di giugno del 1888, la famiglia Zanchetta — Angelo Zanchetta ed Elizabetta Tonietto, entrambi di 24 anni, giovani pieni di vita e speranza — salì a bordo di una nave chiamata Ila de Lozana, con un figlio di 3 anni, Giovanni, lasciando il figlio Giuseppe, di pochi mesi, sepolto a Nervesa della Battaglia. L’odore ripugnante di sudore umano, misto a vomito e aria calda soffocante in un ambiente privo di ventilazione, durò fino all’arrivo. Furono testimoni di pianti per la morte di altre persone. Se potessimo entrare nei sentimenti di quella famiglia, troveremmo la disperazione di una madre col suo primogenito, l’ansia di non perderlo dopo aver già perso un figlio, e probabilmente aver assistito alla morte di altri bambini per malattie come il tifo. Insieme al marito, abbracciò il figlio e pianse, pregando la Madonna Santa di proteggerlo. I bambini e gli anziani erano particolarmente vulnerabili alle pessime condizioni igieniche. Dopo una breve preghiera piena di dolore, affidavano i loro figli, mariti e mogli al mare salato.
Arrivati il 9 luglio 1888 al porto di Santos, furono trasportati nelle fattorie della città di Espirito Santo do Espinhal. Diversamente dal contesto del sud del Brasile, dove si crearono colonie chiuse, a Espirito Santo do Espinhal esisteva già una società formata, con parlanti portoghesi, ex-schiavi e persone della vecchia colonia portoghese. Le comunità di questa regione non erano sufficientemente isolate per mantenere la propria lingua in modo esclusivo, dovendo trattare con parlanti portoghesi in varie sfaccettature della vita sociale, come la chiesa o il commercio. Il portoghese cominciò a soffocare la cultura linguistica, obbligando alla sostituzione con la lingua locale, poiché l’immigrato era spinto a integrarsi e a creare un senso di appartenenza in una società diversa dalla propria. Il portoghese facilitò l’assimilazione linguistica per la somiglianza lessicale. Pian piano, il dialetto italiano cominciò ad assorbire parole portoghesi, rimanendo relegato al contesto familiare. La condizione stessa di immigrato, già fortemente stigmatizzata, obbligò questi stranieri ad allontanarsi progressivamente dalla loro cultura d’origine, non senza lasciare un’impronta fonetica marcata nel portoghese parlato nella regione. La famiglia Zanchetta lavorava nelle piantagioni di caffè, come giornalieri, guadagnandosi il pane giorno per giorno.
Il 17 febbraio 1895, Angelo Zanchetta morì a 30 anni, lasciando vedova la moglie Elizabetta Tomietto, con i figli Giovanni, di 10 anni, Maria di 3 anni e Pedro di dieci mesi. Da quel momento in poi, non si conosce più il destino della vedova, ma Pedro Zanchetta era conosciuto nei racconti familiari come di origine calabrese. I registri indicano che nacque a San Paolo. In generale, poiché le famiglie di origine italiana vivevano in condizioni di estrema povertà, raramente parlavano delle proprie origini, dando vita a miti orali non corrispondenti alla verità. Queste famiglie emigrarono verso i grandi centri urbani, portando con sé le proprie tradizioni d’origine, come la cultura culinaria, le tracce fonologiche nel loro portoghese e grandi difficoltà d’inserimento. Prosperarono economicamente e costruirono un capitale culturale vibrante, lasciando una memoria collettiva italiana, pur avendo abbandonato la lingua madre per le ragioni presentate. Esiste ancora oggi l’orgoglio delle proprie origini italiane, nelle feste tradizionali e nelle abitudini, trasmettendo un’italianità dormiente nelle radici del Baobab, in modo intuitivo. Pedro Zanchetta diede ai propri figli i nomi di João (Giovanni) e José (Giuseppe), perché facevano parte della sua storia. Dei suoi fratelli italiani più cari. Giuseppe morì in Italia a pochi mesi. Giovanni arrivò in Brasile. Pedro fu il più italiano dei brasiliani, nei miti familiari. Una memoria che attraversò il Pacifico e rimase registrata nella sua vera italianità brasiliana.
Imigração italiana: Dos porões dos navios ao apagamento linguístico.
Cleiton de Queiroz
A vida de imigrantes é, por vezes, cheia de desafios humilhantes e incongruentes. São seres humanos fora de seu contexto habitual de vida, que precisam se desafiarem a todo instante e enfrentarem um caminho cheio de preconceitos, estigmas e desimportância, em contexto radicalmente novo, da qual não possui anticorpos prontos para suas próprias defesas. É uma vida marcada por aprendizagem rápida para a preservação da existência. Precisam reaprender a voar em meio a abismos culturais e linguísticos, na busca eterna pelo pertencimento perante os povos pioneiros ou nativos, que pouco se importarão. Nunca será tarefa fácil diante de lutas muito desiguais.
Em busca de um uma vida melhor, 40 milhões de pessoas da península itálica, enfrentaram porões imundos dos navios imigratórios a caminho do novo mundo. Caminho cheio de espinhos, gritos, desespero, tristeza e eterna saudade do seu lar. Famílias inteiras colocaram sua fé em dias melhores, em terras estrangeiras, sem saber se realmente alcançariam alguma coisa. Muitos venderam o pouco que tinham, colocaram suas esperanças nos baús de roupas, respiraram pela última vez o ar da sua terra, prometendo um dia voltar, mas muitos nunca voltaram. O que veio a seguir foram os momentos mais dramáticos de suas vidas.
A metáfora do Baobá, que representa a imigração forçada dos africanos representa de uma forma exata os sentimentos dos imigrantes italianos. De forma forçada pela condição de seu país, colocaram-se a condição não muito diferente do povo africano. Quando esses imigrantes colocaram os pés no chão quente da américa, não era apenas o pé nu que sangrava, era a raiz do baobá sendo separada do corpo dessa árvore de raízes intensas e profundas.
Junto a diversos conacionais, em meados de junho de 1888, a família Zanchetta, isto é Angelo Zanchetta e Elizabetta Tonietto, ambos de 24 anos, jovens cheio de vida e esperança, entraram em um navio chamado Ila de Lozana com um filho de 3 anos chamado Giovanni, deixando o filho Giuseppe de 1 ano, que foi enterrado em Nervesa dela Bataglia. O cheiro repugnante de suor humano, misturado a vômito e ar quente sufocante em um ambiente sem ventilação durou até a chegada. Presenciaram choros diante da morte de outras pessoas. Se pudéssemos invadir os sentimentos dessa família, encontraríamos o desespero de uma mãe, com seu primogênito, e a ansiedade de não perdê-lo uma vez que ela já havia perdido um filho e deve ter presenciado a morte de outras crianças por doenças como a Tifo. Junto a seu marido, abraçou seu filho e chorou pedindo a Madonna Santa para preserva-lo. As crianças e as pessoas com mais idade eram muito vulneráveis as péssimas condições de higiene. Após uma breve oração cheia de dor, entregavam seus filhos, maridos, esposas ao mar salgado.
Ao chegarem em 9 de julho de 1888, no porto de Santos, foram transportados para as fazendas da cidade de Espirito Santo do Espinhal. Diferente do contexto do sul do Brasil, onde foram criadas colônias fechadas, já, em Espirito Santo do Espinhal, existia uma sociedade formada na região, com pessoas falantes do português, de pessoas da antiga colônia portuguesa e ex-escravizados. As comunidades dessa região não possuíam isolamento suficiente para manter sua língua de forma exclusiva, pois precisavam tratar com pessoas de fala portuguesa nas diversas facetas da vida social, como por exemplo na igreja, comércio, etc. O português passou a sufocar a sua cultura linguística, obrigando a substituição pela língua local, uma vez que o imigrante era pressionado a se inserir e criar seu pertencimento em uma sociedade diversa da sua. O português facilitou a assimilação linguística pela semelhança lexical. Aos poucos o dialeto italiano foi ganhando contribuições de palavras portuguesa e ficando reduzido ao contexto de casa. A própria condição de imigrante que já era uma posição muito estigmatizada obrigou a esses estrangeiros a se afastarem aos poucos de sua cultura matriz, não sem deixar uma marca fonética forte no português falado na região. A família Zanchetta trabalhava nas plantações de café, na condição de diaristas, ganhando o seu pão a cada dia trabalhado.
No dia 17 de fevereiro de 1895, falece Angelo Zanchetta, de 30 anos, deixando a esposa Elizabetta Tomietto viúva, com seu filhos Giovanni, de 10 anos, Maria de 3 anos e Pedro de dez meses. Desconhecemos a partir daqui o que ocorreu com a viúva, mas Pedro Zanchetta era conhecido por relatos familiares como de origem Calabresa. Os registros dizem que era nascido em São Paulo. Em geral, como as famílias de origem italiana viviam condições de extrema pobreza, elas quase não falavam sobre suas origens, onde surgiam mitos orais não condizentes com a verdade. Essas famílias imigraram para os grandes centros, levando com elas suas tradições de origem, como cultura culinária, marcas fonológicas no seu português e grandes dificuldades para se estabelecerem. Prosperaram financeiramente e construíram uma capital de cultura pujante, deixando uma memória coletiva italiana, mesmo abandonando sua língua raiz, pelas razões apresentadas. Existe ainda o orgulho da sua origem italiana, em suas festas tradicionais e seus costumes, ainda transmitindo sua italianidade adormecida nas raízes do Baobá, de forma intuitiva. Pedro Zanchetta deu a seus filhos, os nomes de João (Giovanni) e José (Giuseppe), pois era parte da sua história. Dos seus irmão italianos mais queridos. Giuseppe morreu na Itália com alguns meses. Giovanni chegou ao Brasil. Pedro foi o brasileiro mais italiano, nos mitos familiares. Uma memória que atravessou o pacifico e ficou registrado na sua verdadeira italianidade brasileira.
Categorie
Recent Posts
Immigrazione italiana: Dai sottoscali delle navi alla cancellazione linguistica di Cleiton de Queiroz
19 Novembre 2025ROBERT LOUIS STEVENSON, EMIGRANTE PER DILETTO di Andrea Passerelli (Seconda parte)
15 Novembre 2025La Cité Universitaire di Parigi: un secolo di storia 1925 – 2025: 100 anni di Chiara Convento
15 Novembre 2025Archivi